L’arte di costruire connessioni
Con la mostra Connessioni, Barbara Grossato presenta la sua recente produzione incentrata sul
rapporto tra pensiero, gesto e materia, in cui ciascuno dei tre elementi stabilisce con l’altro un
legame di interdipendenza e, in un certo senso, anche di imprescindibilità. L’origine di questa
reciproca relazione o, per meglio dire, “connessione” tra fattori astratti e concreti all’interno
dell’opera va cercata nella fase ideativa, quando cioè si affacciano alla mente dell’artista varie
possibilità e soluzioni che già prevedono l’interscambio tra stati interiori e dimensione fisica della
materia. Detto altrimenti, in Grossato non è soltanto il pensiero ad innescare il processo creativo, e
dunque l’assunto logico – razionale posto a controllo dell’azione, ma capita spesso che sia la materia,
con le sue qualità intrinseche – forma, colore, resistenza, malleabilità – e con i suoi attributi poetici –
leggerezza, forza, durevolezza, caducità –, a farsi tramite di intuizioni che giocano un ruolo
importante sia nella genesi che nell’esecuzione dell’opera. Quella che viene a stabilirsi, dunque, è
una connessione tra realtà esterna e mondo interiore, potremmo dire anche tra natura dentro e
natura fuori, intendendo con natura sia la totalità delle cose viventi – la physis aristotelica – sia i
principi su cui queste si fondano. Quanto basta a spiegare l’appeal “organico” di molte sue sculture e
installazioni, le quali pur ricordando la forma di una pianta o di una radice, come pure
l’organizzazione macroscopica del cosmo – si pensi al ciclo Costellazioni – o quella microscopica
delle reti neurali – è il caso di Connessioni sinaptiche –, non imitano la natura, ma è la materia che,
sottoposta a vari gradi e livelli di “trasmutazione”, torna ad essere natura. Da qui la scelta di
avvalersi, perlopiù, di carta, corda, fil di ferro, metallo, e dunque di materiali su cui Grossato
interviene epurandoli dal superfluo, da ciò che l’essere umano vi ha aggiunto, per ricollegarli
all’origine naturale. È così che la materia, sottratta all’uso quotidiano, ritrova la perduta connessione
con il vivente, in un passaggio che la riscatta non solo sul piano estetico, ma anche su quello
simbolico, come in una trasformazione alchemica. Semplici materiali di recupero si mutano in
sostanza “viva”, pulsante, preziosa; diventano come terra, ramo, foglia, creature che crescono,
respirano, si nutrono. Come a dire: dalla natura provengono, alla natura ritornano. Ed è chiaro il
monito dell’artista nel ricordarci l’importanza, anche per l’essere umano, di questo ritorno alla fonte,
che non va confuso con un generico ambientalismo, ma ha la forza di un’esperienza che cambia
radicalmente, e nel profondo, la percezione di sé e del mondo intorno. Giungiamo così all’altra,
fondamentale, connessione che le opere in mostra sottendono, ovvero quella che l’artista sperimenta
ogniqualvolta, modellando, intrecciando, combinando vari materiali, sente la natura viverle dentro,
scorrerle nelle vene, come linfa in un albero, acqua in una nuvola, luce in un cielo stellato. Non si è
mai del tutto soli al mondo, neanche durante la creazione artistica; anzi, proprio nell’atto creativo è
forte la sensazione che invita a considerarsi parte del tutto, a calarsi nell’esistente, nel flusso degli
eventi. L’artista – sembra dire Grossato – non può che essere un “mutante”, accogliere il divenire di
ogni cosa dentro e intorno, delle consapevolezze che cambiano col tempo, della materia che si
trasforma tra le mani. Inutile, perciò, sforzarsi di trattenere la vita, di circoscriverla in una forma o
chiuderla in una cornice; al contrario, bisogna lasciarla scorrere, darle lo spazio di cui ha bisogno.
Alcune delle opere in mostra penzolano dall’alto come liane da un albero; altre, si allungano sulle
pareti come arbusti rampicanti; altre ancora, benché incorniciate o dipinte su tela, suggeriscono – con
pennellate di colore vibranti, mosse, non delimitate da contorni, oppure con vari elementi accordati
l’uno all’altro in composizioni cangianti, dinamiche, aperte – un continuo pulsare di vibrazioni che
rimbalzano da un punto all’altro dell’opera e da un’opera all’altra, generando, in questo modo,
un’ulteriore connessione tra materia, superficie, spazio. Un giro che non può concludersi senza aver
coinvolto anche il visitatore, chiamandolo a connettersi, a sua volta, come ha già fatto l’artista, con
le opere e con il contesto. Osservare, soffermarsi, girare intorno; immaginare di essere in un bosco,
con le opere al posto di rami, foglie e piante; oppure distesi sul prato ad ammirare costellazioni tanto distanti nel tempo quanto vicine nella memoria delle cellule. Cum – nectare, dunque, che vuol dire
cancellare la distanza tra sé e il mondo, ma soprattutto creare, attraverso questa unione, uno spazio
nuovo, ulteriore, di dialogo, presenza, condivisione. Questo l’opera di Grossato invita a fare: a
costruire connessioni, poco importa se reali o immaginarie, concrete o simboliche. Conta, invece,
che siano autentiche, sentite e soprattutto profonde: quanto profondo è un respiro o un cielo notturno.
Daniela Pronestì
