Barbara Grossato e la poetica della stratificazione
Il processo creativo di Barbara Grossato si basa sull’accumulazione di strati, che la
portano a cogliere la realtà nella forma e nella materia della contemporaneità. L’artista
lavora con materiali industriali che appartengono al mondo dell’industria e della
produzione di massa – fili di acciaio, rondelle, corde – che vengono trasformati in medium
artistico creando strutture che trascendono la loro origine meccanica e funzionale e
acquisiscono una nuova dimensione estetica e concettuale.
Barbara Grossato giustappone i singoli elementi fino a costituire una trama compatta, che
rivela il potere trasformativo dell’accumulazione. Gli oggetti, fittamente ammassati,
invadono tutto il campo visivo, conferendo all’opera un effetto quasi pittorico. La ripetizione
e la stratificazione crea densità visiva, una sorta di intreccio nella continuità materica della
composizione. Lo spessore raggiunto per accumulazione diventa determinante. Strato a
strato si materializzano il gesto e la sua ripetizione, in un rito che scava nella memoria
semantica personale dell’artista e in quella collettiva.
Simbolo di tempo, di dedizione, di memoria, la stratificazione racconta di un percorso
individuale fatto di legame con la materia. Ogni livello successivo è una traccia, un segno
di un’azione passata che contribuisce alla costruzione di una narrazione visiva complessa
in cui il singolo modulo perde importanza in favore della sua collocazione nell’opera.
È evidente l’annullamento della funzione dell’oggetto, che resta unicamente come
elemento segnico per rievocare la manualità e la collettività. I materiali industriali
diventano metafora del lavoro manuale tipico della società moderna che va scomparendo
con l’evolversi dell’era digitale e insieme simbolo del contatto diretto che l’artista ha da
sempre con l’opera. Barbara Grossato respinge infatti l’uso di strumenti intermedi, come i
pennelli, per dipingere, enfatizzando il legame fisico con l’opera. L’irregolarità della texture
e l’applicazione non omogenea del colore accentuano la tridimensionalità delle opere, la
loro profondità, muovendo lo sguardo dai singoli oggetti verso l’insieme.
Gli elementi metallici, estrapolati dal contesto originale e de-funzionalizzati, vengono
intrecciati e annodati per dar vita a nidi e gomitoli che sembrano pulsare di energia. Forme
organiche che emergono come simboli di protezione e rifugio, contrapposte alla durezza
del materiale industriale. Organismi pulsanti, microcosmi che evocano l’espansione
continua dell’universo in un processo di metamorfosi che è un riferimento intimo al fluire
della vita, un tributo alla sua complessità e all’infinito potenziale della creazione.
Erika Lacava
