L’arte alchemica di Barbara Grossato

Pictoribus atque poetis

quidlibet audendi semper fuit aequa potestas.

Quinto Orazio Flacco, Epistula ad Pisones (Ars

Poetica)

La natura demiurgica è al medesimo tempo umana e divina. Nell’accezione platonica e
neoplatonica del termine, il demiurgo non genera dal nulla, ma piuttosto ordina, plasma e
infonde la vita alla materia già esistente, consentendole una trascendenza essenziale da
una sua consistenza bruta a una più degna e completa.
Quanto questa descrizione ben si attagli alla natura della donna e dell’artista è di tutta
evidenza. Fuori dall’accezione filosofica, ma in piena consonanza con una dimensione più
junghianamente mitica, l’energia “creativa” dell’artista e della donna è quella che consente
la trasformazione di oggetti inerti, ma potenzialmente infiniti, in qualcosa di piccolo ma
dotato di senso.
Sotto questa luce va illuminato il processo creativo che consente a Barbara Grossato –
donna e artista – di produrre (producĕre: portare avanti, formare) le sue opere a partire da
segni elementari che, quasi dotati di una vitalità propria, si aggregano, si scindono, si
duplicano come materia organica. Come in una alchemica fotosintesi, l’inorganico si fa
organico, vivo, eloquente e sincero. Come sarebbe piaciuto ad Arturo Schwarz: un tipo di
arte alchemica. Come la vita.
Questo avviene indifferentemente rispetto al medium da lei impiegato: i suoi dipinti, le sue
sculture e le sue installazioni si prendono con fermo garbo il loro spazio e lo occupano
interagendo proficuamente con l’ambiente, qualunque esso sia. Le opere entrano quindi in
dialogo con lo spazio e si confrontano dialetticamente con esso, con la levità assoluta di
elementi fitomorfi e la forte solidità di equilibri geometrici.
Non è in questione qui l’essenza eleatica delle cose, ma la loro natura in divenire, forse
ostica da indagare, oscura chissà, ma più intuitiva, naturale forse. Le opere di Grossato si
collocano problematicamente negli spazi precostituiti e si integrano significativamente in
essi; altrimenti è la medesima artista a condurre il gioco comunicativo, realizzando
accurate installazioni site specific di grande energia.
La natura modulare, quasi cellulare, dei suoi lavori pare risuonare armonicamente con il
circondario, come un mandala profano o una composizione di Michael Nyman. Non ha la
rigidità concettuale che ci si può attendere, ma vibra vitale come gocce in una pineta, muta
e trasmuta l’essenza delle cose: il metallo si scalda e diviene vegetale, biologico. Cresce,
decresce, si trasforma.
Quando dimentica la pittura, Grossato manipola, maneggia minuterie e materiali
usualmente impiegati da operai e artigiani: rondelle, fili metallici, carte che si sottraggono
alla meccanica per accedere alla metafisica. E come nel Seicento, il bello si fa concettoso,
l’arguzia si ordina esteticamente.
Come fonemi di un saussuriano atto di parole, gli elementi impiegati – materiali e
concettuali – trovano un senso qui e ora, trasformando il contenuto con l’intenzione.
L’aggregazione produce senso, un senso nuovo, quello dell’opera nell’arte
contemporanea: decontenstualizzando. È un esercizio di memoria e proiezione emotiva,
metafora del tempo attuale, della società e delle sue contraddizioni. Le mani sono il vero
strumento, magnificamente accordato, del fare arte, in qualsiasi forma eletta, senza la
mediazione di troppi mezzi a interferire.
Il lavoro dell’artista procede per sintesi, la stessa che rivendica tra arte e vita, memore e
conscia di quanto ormai accertato da chi l’ha preceduta. I colori sono elementi come le
forme che vanno elevati in sintesi, appunto. Tutto risulta definito, nulla appare scabro,
sfidando l’accumulazione domata dall’ordine, rifuggendo la ruvidità mediante l’equilibrio. È
un ricamo ordinato ma non ovvio.
Il tutto si modifica nelle mani dell’artista, come negli anfratti umbratili di una jungla candida
e tutt’affatto innocente, ma con una costante tensione spirituale che guida la materia. Non
è solo scenografia, è spazialismo ineludibile. Eccolo lì, il sinolo di forma e materia che
concilia il conflitto insanabile della natura umana, tra la bestia e il dio!
Piano con la filosofia! Qui siamo in pieno territorio emozionale: la fredda apparenza del
concetto lascia il posto al caldo espandersi dell’istinto che tutto guida, la vita come l’opera,
dal profondo. Ché la vita e l’arte sono un unico, difficile viaggio. E Barbara Grossato lo ha
capito perfettamente e semplicemente ce lo insegna.
Parma, in pieno carnevale prima che tutto finisca, 2025

Mauro Carrera